DI RITORNO DAGLI U.S.A. BY TRAIN

Prima parte


Ero stata negli U.S.A. con Avventure nel Mondo nel 2007 e avevo partecipato a un viaggio di 3 settimane, Gli Stati del West Soft, viaggio magnifico incentrato principalmente sulla visita dei Parchi della parte Occidentale degli Stati Uniti, e delle città di San Francisco, Las Vegas, Los Angeles, e New York. La tappa finale del viaggio era stata New York, 2 giorni e mezzo nella Grande Mela, città che a me non era piaciuta affatto e che in qualche modo aveva concluso “male” il viaggio. Passano gli anni e Avventure nel Mondo mette in catalogo un nuovo viaggio negli U.S.A., un viaggio che attraversa tutto il Paese, da New York a San Francisco, con un fantastico mezzo di locomozione: by train.E’ proprio il mezzo di locomozione ad attirare la mia attenzione e a farmi dire: “Voglio fare questo viaggio”. L’occasione arriva ai primi di maggio 2019 quando dando uno sguardo al sito di AnM vedo che ci sono due persone iscritte al viaggio che vorrei tanto fare, partenza 8 giugno 2019, il coordinatore non è assegnato; ah, non ti ho detto il nome del viaggio: Chattanooga Choo Choo, carino vero?

























Chattanooga è una città del Tennessee, città che alla fine dell’Ottocento, al termine della Guerra di secessione, divenne un importante nodo di interscambio per la rinascente rete ferroviaria che doveva ricominciare a collegare gli Stati del nord e quelli del Sud. Nella sua stazione sono transitati personaggi come i presidenti Woodrow Wilson, Theodore e Franklin Delano Roosevelt; Chattanooga Choo Choo (il trenino di Chattanooga) è, invece, il titolo della canzone scritta da Harry Warren nel 1941 quale colonna sonora del film Sun Valley Serenade, canzone portata al successo dall’Orchestra di Glenn Miller. L’edificio che ospitava la stazione ferroviaria oggi è stato convertito in hotel, il cui nome è inevitabilmente proprio quello del brano di Miller. L’albergo ospita 365 stanze e 48 appartamenti di lusso ricavati da vere carrozze ferroviarie. Richiedo il viaggio e resto in trepidante attesa, fin tanto che non arriva la mail di assegnazione. Evviva! Il viaggio lo coordinerò io. E’ l’8 maggio, ho 30 giorni per organizzare l’itinerario, per capire cosa andare a vedere, insomma per porre in essere tutto ciò che serve per fare un viaggio.

E finalmente il giorno della partenza. E finalmente arriviamo a New York, la “Big Apple”, come viene chiamata la città.

Il soprannome di Big Apple nasce dal fatto lo scrittore Edward S. Martin che nel suo libro “The Wayfarer in New York” del 1909 paragona lo stato di New York a un melo, con le radici nella valle del Mississippi e il frutto a New York, anche se c’è da specificare che la diffusione di questo simbologia è dovuta al redattore sportivo John J. Fitzgerald che dopo aver sentito chiamare così l’ippodromo di New York da alcuni scommettitori sulle corse dei cavalli, chiamò la sua rubrica “Around the Big Apple”; sono gli inizi degli anni ’20 e con Grande Mela venivano indicate le grandi vincite sulle scommesse. Una grossa mela rossa era anche il compenso che ricevevano i musicisti jazz degli anni '30 suonando nei locali di Harlem e Manhattan, da allora New York divenne per tutti The Big Apple. Nel 1997 il sindaco Giuliani riconobbe ufficialmente la paternità del soprannome a John J. Fitzgerald, battezzando “Big Apple Corner” l’angolo tra la Broadway e la 54th strada, dove viveva il cronista sportivo. Big Aple non è l’unico soprannome di New York, documentandomi per la preparazione del viaggio ho scoperto che fra le persone meno abbienti di New York la città è soprannominata anche “The Big Onion” perché come una cipolla si può sbucciare a strati fino a rimanere in lacrime con nulla di fatto in mano. Ho divagato…New York ora la adoro, è una città pazzesca, ogni suo distretto ha una propria peculiarità che lo rende unico, e così ogni quartiere ha una propria atmosfera che ti fa dire “vorrei vivere proprio qui”.

Abbiamo trascorso a New York tre giorni, e in questi tre giorni abbiamo dormito pochissimo e girato tantissimo nonostante la pioggia che ci ha accompagnato inclemente per ben due giorni. Appena arrivati in città, nel tardo pomeriggio, e dopo esserci sistemati in hotel siamo usciti per andare a State Island, che abbiamo raggiunto gratuitamente con lo Staten Island Ferry che ci ha consentito di passere davanti la Statua della Libertà, abbiamo preso il ferry che era ormai buio ed è stato veramente suggestivo perché abbiamo visto dal ferry lo skyline di New York illuminato.

State Island è tristemente famosa nella storia in quanto dal 1894 divenne stazione di smistamento per gli immigranti che arrivavano dall’Europa dove si era diffusa la notizia che l’America era un Paese che offriva grandi opportunità. Cosa succedeva agli immigranti che arrivano a New York? Quando le navi a vapore entravano nel porto della città, i passeggeri di prima e seconda classe, quelli più ricchi, venivano ispezionati a loro comodo nelle loro cabine e scortati a terra da ufficiali dell’immigrazione. I passeggeri di terza classe venivano portati a Ellis Island per l’ispezione, che era durissima. Ogni immigrante in arrivo doveva portare con sé un documento in cui fossero riportate le informazioni riguardanti la nave che l’aveva portato a New York, ciascun immigrante veniva poi esaminato da un medico e nel caso il medico ritenesse che quel migrante dovesse essere sottoposto a un ulteriore esame per verificare le condizioni di salute lo marcava sulla schiena con del gesso; se vi erano condizioni particolari di infermità ciò comportava che si venisse trattenuti all’ospedale di Ellis Island. Dopo questa prima ispezione, gli immigrati procedevano verso la parte centrale della Sala di Registrazione dove gli ispettori interrogavano gli immigranti a uno ad uno. A ogni immigrante occorreva perlomeno una intera giornata per passare l’intero processo di ispezione a Ellis Island.

Lo scrittore e giornalista praghese Egon Erwin Kisch (1885-1948) nel suo libro “Sbarcando a New York” (dove si era recato per fuggire alla politica di Adolf Hitler) scrive, fra l’altro: “Sono di nuovo prigioniero sulla nave. Dall’oblò chiuso vedo il Nuovo Mondo verso il quale da due settimane, due settimane di guerra, sto navigando sulla ‘Pennland’ della linea olandese-americana [...]. L’immigration officer dice che il mio passaporto non è valido, perché un visto cileno ottenuto a Parigi non è sufficiente come visto di transito per l’America [...] Mentre parlava con me, un funzionario gli mostrò un fogliettino, senza dubbio conteneva qualcosa sul mio conto. ‘Lo so’, disse. Quindi mi tocca andare a Island - un eufemismo per Ellis Island, L’isola delle lacrime [...] Giù dalla ‘Pennland’ sulla quale abbiamo trascorso più di due settimane, giù con tutto il bagaglio (il mio è rimasto in Belgio), nei dock gelidi dove fanno la revisione doganale, poi con un tender all’isola-prigione sorvegliata dalla Statua della Libertà (si riempiono la bocca con la Statua della Libertà) [...]. Ciò che contraddistingue la nostra prigione da ogni altra è la cabina telefonica. Una cella del carcere con cabina telefonica non esiste da nessun’altra parte. Ammesso che uno abbia un nichelino, si può mettere in contatto con il resto del mondo, e al tempo stesso non può. Nessuno può chiamarti [...]. Faccio una passeggiata nel cortile che invece di quattro pareti ne ha soltanto due: quelle mancanti sono acqua.” Oggi a Ellis Island è possibile visitare il Museo dell’Immigrazione; le esposizioni del Museo, oltre a mostrare oggetti cari portati dai migranti dalla terra di origine come vestiti, tessuti, fotografie, utensili, illustrano la storia dell’isola, mostrano come gli immigranti venissero ispezionati e narrano come l’edificio fu ristrutturato. Sul tema dei migranti verso l’America come non ricordare la bellissima canzone di Francesco De Gregori “Titanic” di cui si parla proprio della vita in terza classe?

Lo skyline di New York lo abbiamo visto anche salendo sull’Empire State Building, un’icona di New York, siamo andati nel tardo pomeriggio e abbiamo aspettato il tramonto, è stato fantastico vedere la città che si illuminava piano piano man mano che il sole calava.

Una grande emozione l’abbiamo vissuta andando ad assistere a una Messa Gospel, in una Chiesa di Harlem, chi non c’è stato non ha idea dell’energia che può esserci all’interno di una chiesa in cui vengono cantati i Gospel! Se andate negli USA non perdete questa esperienza. Ci sono varie chiese che consento l'ingresso ai turisti.

Altra cosa molto bella da fare è una passeggiata a Central Park osservando come i newyorkesi vivono il parco. Volendo si può prendere in affitto una bicicletta.






Nel nostro giro di visite non poteva mancare un omaggio alle vittime dell’11 settembre, a Ground Zero. Un altro triste capitolo della storia dell’Umanità, fatti che non dobbiamo dimenticare. 


E poi Wall Street, il Federal Hall, la foto con la statua di George Washington, posta nel punto esatto in cui il 30 aprile del 1789 George Washington prestò giuramento come primo Presidente della Storia degli Stati Uniti.


Non potevamo non fare la classica foto con il Charging Bull, la famosa statua del Toro di Wall Street che simboleggia la finanza mondiale; è il nostro secondo giorno a New York, un giorno di pioggia, ma noi ci mettiamo ugualmente in fila per farci la foto con il famoso toro, altra statua che siamo andati a  vedere a Wall Street è quella della Fearless Girl, realizzata dall’artista norvegese Kristen Visbal, che  rappresenta una bambina con le mani sui fianchi. Vale la pena conoscere la storia di questa statua.



La creazione di questa opera è dovuta a una campagna di sensibilizzazione e valorizzazione del ruolo delle donne nel mondo del lavoro, campagna voluta da State Street Global Advisors (SSGA), uno dei più grandi asset manager al mondo, lo scopo era di sensibilizzare le aziende a investire di più sulle donne, ancora poco presenti ai vertici dei grandi gruppi e nei consigli di amministrazione. La Fearless Girl venne collocata proprio di fronte al Charging Bull nella notte tra il 7 e l’8 marzo 2017, in previsione della giornata internazionale della donna., la bambina, con il vestitino mosso dal vento, il suo sguardo deciso e fermo e, come su scritto, con le mani sui fianchi a chi l’ha vista la mattina dell’8 marzo 2017 ha dato sicuramente subito l’impressione che stesse sfidando il toro e reclamando la parità di genere. Arturo di Modica, lo scultore del toro, non gradì la cosa e chiese immediatamente la rimozione della statua della bambina, ritenendo che il suo lavoro (il Charging Bull) fosse stato impropriamente sfruttato per finalità commerciali, e che l’integrità artistica della sua opera fosse stata compromessa. Questo perché il toro, realizzato come simbolo positivo di forza e potenza, contrapposto alla statua della bambina diventava un elemento negativo al quale opporsi. Altri artisti si mostrarono d’accordo con Di Modica, compreso Alex Gardega, che per un breve periodo nel 2017 posizionò accanto alla bambina la statua di un cagnolino che urinava su di lei. In tanti, poi, fecero notare come in realtà si trattasse solo di un’iniziativa pubblicitaria, e rilevarono che incarnare le ambizioni delle donne nella figura di una bambina sminuisse in realtà lo stesso genere femminile. La Fearless Girl venne rimossa e spostata, oggi, al posto della bimba di fronte al toro si trova una targa rotonda, che mostra le impronte della bambina e recita: “Fearless Girl si è spostata al New York Stock Exchange. Finché lei si trova lì, prendi il suo posto”. Un invito alle donne che visitano a New York a poggiare i piedi sulle sue impronte per sfidare qualunque minaccia!

La pioggia che cade in modo incessante ci fa cambiare programma, dobbiamo andare a visitare luoghi coperti, e così andiamo alla Grand Central Station (da non mancare) e alla New York Public Library, i cui interni sono bellissimi, quindi ci rechiamo alla Cattedrale dedicata a San Patrizio, e poi al Rock Feller Center; la pioggia ha cessato di cadere e quindi su desiderio di Laura andiamo a Little Italy e a China Town dove ci fermeremo a cena. 







Il nostro ultimo giorno a New York il tempo è ancora coperto, ma dopo poche ore uscirà un tempo splendido che ci consentirà di vivere al meglio la città. Anche oggi vediamo tantissimi bei posti, percorriamo a piedi tutto il Ponte di Brooklyn dove scattiamo un numero infinite di foto (con infinite soste), percorso tutto il ponte ci dirigiamo al quartiere Dumbo: acronimo di Down Under Manhattan Bridge Overpass, per andare a fare una passeggiata al Brooklyn Bridge Park, una magnifica area verde sul lungo fiume Hudson da cui si possono ammirare i grattacieli di New York sulla sponda opposta e persino la statua della Liberta, nel parco vediamo degli alberi di ribes carichi di frutti rossi,  letteralmente lo saccheggiamo, sembriamo bambini all’albero della cuccagna; lasciato il parco andiamo a visitare la zona chiamata Broklyn Heights, che è veramente magnifica con le sue case in brownstones e quelle vittoriane, il luogo dove vorrei vivere se fossi a New York. Anche qui tantissime foto. Una rapida sosta pranzo e con la metro torniamo a Manhattan e da qui a Bushwick, (quartiere operaio nella parte settentrionale di Brooklyn) famoso per i suoi murales; il quartiere ci è piaciuto molto, Daiana lo ha definito “Real America”. Quindi riprendiamo la metro, per andare a Chelsea, e facciamo una passeggiata lungo la High Line, un’oasi verde a 10 metri da terra, un chiaro esempio di riqualificazione urbana, la High Line infatti è realizzata su una sezione in disuso della ferrovia sopraelevata chiamata West Side Line facente parte della più ampia New York Central Railroad. La High Line passa accanto al Chelsea Market che naturalmente visitiamo. E’ questo un mercato all’interno dell’ex fabbrica degli Oreo e dei Ritz, costruito in mattoni, con ancora i tubi a vista, i muri scrostati e le lampade, sono certa che se andrai ne resterai affascinato come è successo a noi, magari puoi fermarti per una pausa pranzo o per uno spuntino, ci sono cinquanta i negozi, ristoranti e punti vendita che propongono carne, pesce fresco, frutta, gelato, cibo americano e “internazionale” (per esempio giapponese, messicano, italiano, cinese, thai) e ancora vino, birra, pane e irresistibili prodotti di pasticceria; o puoi passarci per comprare dei souvenir, o semplicemente per vederlo.
















Ci spostiamo poi al Greenwich Village, quartiere conosciuto semplicemente come The Village, un quartiere interessante dove i grattacieli lasciano posto alle case in mattoncini rossi e dove alla struttura a griglia di New York si contrappongono strade strette e irregolari; quartiere in cui negli anni ’70 si è sviluppato il movimento di liberazione omosessuale.

Christopher Street è stata il cuore del movimento gay negli anni Settanta e oggi è diventata è un simbolo del gay pride, in questa via il 27 giugno del 1969 iniziarono i c.d. moti di Stonewall, violenti scontri che iniziarono con l’irruzione della Polizia nel bar gay Stonewall. Nel parco adiacente a Christopher Street si può vedere la scultura Gay Liberation, opera di George Segal, che include quattro figure di bronzo che rappresentano, a grandezza naturale, delle coppie omosessuali. Due uomini in piedi, e due donne sedute. Commissionata nel 1979, è stata oggetto di contestazioni e di atti vandalici, ha trovato la sua dimora attuale soltanto nel 1992.

Fra le nostre visite nel quartiere andiamo anche a cercare le varie ambientazioni di film e telefilm fra cui l’edificio che è l’esterno dell’appartamento di Carrie in “Sex and the City”. Anche il famoso film “La finestra sul cortile” di Alfred Hitchcock è ambientato nel Greenwich Village all’indirizzo 125 West Ninth Street, ma questo indirizzo non è mai esistito, è un indirizzo immaginario, dato che la legge americana vietava che un film relativo ad un crimine contenesse riferimenti reali. Dopo cena in un ristorante dal sapore tutto italiano “olio e più”, andiamo a Times Square, un tripudio di luci e di traffico.

E’ arrivato il momento di lasciare The Big Apple e di spostarci a Washington D.C. by train! Il treno che si prende per andare a Washington è un regionale, qui non ci sono carrozze panoramiche, di cui scriverò in seguito. Questa tratta in treno è molto interessante in quanto si è a contatto con diversi tipi di passeggeri, i turisti, che riconosci dal loro abbigliamento casual e gli impiegati che si recano a Washington D.C., gli uomini impeccabili in giacca e cravatta, le donne in tajer, tutti assorti a lavorare sul laptop con accanto la tipica mug ripiena del loro, passamelo, insipido e acquoso caffè. La particolarità che ho notato è che vi sono due carrozze del treno “QUIET” dedicate a chi vuole riposare, quindi occorre fare silenzio e silenziare i cellulari. Vietatissimo dare fastidio.

Arrivati a Washignton D.C. e usciti dalla magnifica stazione con due taxi andiamo all’ostello che ci ospiterà per le prossime notti.


Nel pomeriggio usciamo, la nostra meta è The White House, vi è però una manifestazione contro la politica presidenziale, diamo uno sguardo, ma nonostante la numerosa polizia non ci sentiamo tranquilli e quindi decidiamo di dirigersi verso il National Mall, che ha al centro il famoso “monumento di Washington” l’obelisco di marmo, eretto a Washington per commemorare appunto George Washington, padre fondatore e primo presidente degli Stati Uniti d'America. Passeggiamo in quest’area fra i numerosi Memorial: il Vietnam Veterans Memorial, il Lincoln Memorial, e museo sottostante, il Korean War Veterans Memorial, il National World War II Memorial, la Reflecting Pool (una vasca lunga 618 metri e larga 51, situata tra il monumento a Washington e il Lincoln Memorial), il Martin Luther King, Jr. National Memorial, fino ad arrivare al Capitol che abbiamo visto illuminato essendo ormai il crepuscolo e dove abbiamo assistito a un magnifico concerto della Marina statunitense.





E poteva mancare la pioggia oggi? Per fortuna è iniziato a piovere a concerto finito, certo ci siamo bagnati per andare a cena, ma pazienza.

Ci siamo fermati a Washington D.C. due giorni pieni, questo ci ha permesso di tornare a vedere la Casa Bianca, che stupisce perché è ben più piccola di quello che appare vista in televisione, di visitare alcuni musei e di visitare George town, neighborhood storico della capitale, sorta lungo il fiume Potomac. Il quartiere, in passato è stato abitato da personaggi del calibro di Thomas Jefferson, John F. Kennedy, Francis Scott Key ed Elizabeth Taylor, è molto bello ed è piacevole camminare per le stradine per ammirare le abitazioni, andare a caccia dei luoghi location di film famosi, tipo la scala del film L’esorcista, visitare la famosissima Georgetown University fondata nel 1789 e prima università cattolica degli Stati Uniti, un magnifico edificio in stile vittoriano fatto di mattoncini rossi, con torrette sormontate da guglie appuntite, finestre in pietra e portoni in legno, fare una sosta alla famosissima pasticceria Georgetown Cupcake, che è una vera istituzione e cenare alla Martin’s Tavern dove JFK chiese a Jacqueline di sposarlo.














La tappa successiva del nostro viaggio negli U.S.A. è Chicago, the windy city, che si sviluppa lungo le sponde del lago Michigan ed è famosa per l'audace architettura, costellata di grattacieli; John Hancock Center, la Willis Tower (Sears Tower) e la neogotica Tribune Tower e nota anche per i musei, fra cui l'Art Institute of Chicago, che ospita rinomate opere impressioniste e post-impressioniste.
Raggiungiamo Chicago con il treno notturno e un viaggio previsto di 16 ore, che per noi sarà di 18 ore e 20 minuti per un ritardo nel percorso.
Il treno è magnifico, è a due piani, saliamo al piano superiore e ci sediamo nei comodissimi posti assegnatici, i sedili sono reclinabili e si può sollevare un poggia gambe, in questo modo si può dormire comodamente.
Partito il treno andiamo a cercare la carrozza panoramica, bellissima perché i sedili sono verso grandi finestre della carrozza, finestre che proseguono anche sulla parte della volta della carrozza che quindi è piena di luce e che consente di vedere anche il cielo. In questa tratta vi sono molte persone Amish, le donne sono simpatiche, curiose e passiamo il tempo chiacchierando piacevolmente con alcune di loro incontrate nella carrozza panoramica.




Che tempo abbiamo trovato a Chicago? E c’è da chiederlo? Pioggia e freddo, ma nonostante le condizioni meteo avverse, che certo ci hanno precluso la possibilità di salire sullo skydeck della Willis Tower (ex Sears Tover, e di fare la river cruise sul lago Michigan, abbiamo visto tante belle cose, le più particolari in quello che viene chiamato il Millenium Park: il Cloud Gate (the Bean come lo chiamano i cittadini) e la Crown Fountain. Il Cloud Gate è stato realizzato dall'artista britannico di origini indiane Anish Kapoor ed è una incredibile attrazione, l’artista per questa opera si è ispirato dalla forma liquida del mercurio, la superficie della scultura distorce i riflessi dello skyline di Chicago. Si può camminare intorno e sotto, la parte inferiore è chiamata ombelico, è una camera concava che deforma e moltiplica i riflessi. Una cosa pazzesca! La Crowun Fontain, ideata da Jaume Plensa, è formata da due torri alte circa 15 metri su cui vengono proiettati volti di persone native di Chicago che si sono voluti prestare alla “causa”. Tra i vari versi che fu chiesto a queste persone di fare, quando aprono la bocca escono i getti d’acqua.  E’ veramente un’idea geniale!





















La nostra prossima tappa è Denver, ancora un treno notturno, ancora una carrozza panoramica! Ancora un viaggio con arrivo in ritardo, un ritardo di 4 ore sull’orario previsto.













Commenti

Post più popolari