ALLA SCOPERTA DEL MAROCCO
Era l’anno 1996 e frequentavo il secondo anno di un corso di lingua spagnola, la classe era molto unita e ci vedevamo spesso anche al di fuori dell’istituto dove frequentavamo il corso per il piacere di stare insieme. Fra i colleghi di corso, Roberta mi propose di fare un viaggio per fine anno, con Avventure nel Mondo, che era la prima volta che sentivo nominare. Roberta mi parlò della formula di Avventure, ne rimasi affascinata e accettai con entusiasmo la sua proposta. Il viaggio che aveva individuato si chiamava Kasbah Marocco, di 15 giorni, che ci consentiva di vedere i vari aspetti del Paese. Avventure ancora non aveva il sito Internet, quindi niente iscrizione on line; avendo la “fortuna” di vivere a Roma, andammo presso la sede di Avventure per cercare, tra i tanti fogli attaccati al muro dell’agenzia con i vari viaggi in partenza per le festività di fine anno, quello da noi scelto e apporre il nostro nome e cognome con numero di telefono sul foglio per iscriverci. A 15 giorni alla partenza Roberta mi dice che ha deciso di non partire, è dispiaciuta, ma non se la sente di lasciare il papà che da qualche giorno non sta bene (la verità è che si è rifatto sotto il tipo di cui è innamorata), io non so che fare, un viaggio in gruppo con persone che non conosco? Devo dormire con qualcuno di loro? Ricordo però le parole di Roberta: “E’ un modo di viaggiare diverso, si condivide tutto, si incontrano persone veramente interessate al viaggiare.”, e così vinco la mia paura e decido che partirò, male che vada avrò a farmi compagnia la mia macchina fotografica e un libro da leggere durante gli spostamenti. Il libro non l’ho letto in viaggio, sempre attaccata con il viso al finestrino della macchina a bordo di cui stavo a guardare il paesaggio e a scattare foto. Eh, sì, il viaggio si è svolto con macchine a nolo e con i partecipanti che si alternavano alla guida. Il viaggio è stato veramente bello, così diverso dal modo in cui avevo viaggiato fino a quel momento! La cosa più sorprendente per me fu il modo in cui persone appena conosciute, (non vi erano gruppi WhatsApp, non vi erano e-mail di gruppo, non vi era proprio l’e-mail; Avventure nel Mondo comunicava a ogni iscritto il nome e il numero di telefono del coordinatore e al coordinatore il nome e numero di telefono di ogni singolo iscritto e ci si sentiva telefonicamente) potessero sentirsi fra loro da subito amici, anzi, complici per poter realizzare al meglio il viaggio che individualmente avevano scelto. I ricordi di quel viaggio di cui ancora oggi parlo con piacere sono soprattutto la gentilezza del popolo marocchino, senza la loro gentilezza forse avremmo perso il volo di rientro.
Il viaggio, come dicevo si svolgeva con auto a nolo guidate dai partecipanti e la sera prima del rientro in Italia restammo, in piena notte, impantanati in una profonda buca piena di acqua a causa della forte pioggia che cadeva da ore sul Paese, fu un gruppo di tre giovani ragazzi marocchini, incuranti della pioggia, a spingere fuori la nostra macchina.
Ricordo poi i pranzi sempre uguali, consumati per strada e a base di pane e formaggino, “La Vache qui rit" questa la marca; la ricerca serale di un hotel dove dormire (mica si prenotava come adesso!); il mio stupore nel vedere la neve lungo i monti dell’Atlante e lo scoprire l’esistenza di una stazione sciistica; l’accoglienza ricevuta quando, infreddoliti, eravamo a più di 2.500 metri di altezza, entrammo in un bar di uno sperduto villaggio dei monti dell’Atlante per bere un thè; l’incontro in una delle oasi visitate con una ragazzina che ci portò in casa sua per farci conoscere il fratellino nato da pochi giorni e la conoscenza della loro mamma, una giovane donna con dei meravigliosi occhi neri, che teneva in braccio il suo bambino che era, come da usanza, completamente fasciato; e che mi fece pensare alla Madonna con Gesù; una delle due macchine ferme in pieno deserto il 31 dicembre, che non aveva intenzione di ripartire e che fu grazie a un compagno di viaggio che venne rimessa in moto, lo stupore di un magnifico arcobaleno nel deserto l’1 gennaio 1997…..forse il primo Viaggio è un po’ come il primo amore e non si scorda mai?!
E a ottobre 2022 sono tornata in Marocco, questa volta sono partita come coordinatrice, eh sì, nel frattempo dopo una decina di viaggi con Avventure nel Mondo da partecipante sono diventata coordinatrice; il viaggio di cui ti racconterò è “Oasi Marocco”, un viaggio meno gettonato fra quelli proposti da Avventure nel Mondo in Marocco, ma ti assicuro bellissimo. L’itinerario di questo viaggio si svolge in quella parte del Marocco per lo più ignorata dal turismo di massa, e dopo la visita di Marrakech si snoda immediatamente verso paesaggi maestosi, villaggi di pietra rossa, valli, gole, uadi, deserti, oasi e architetture berbere, siti rupestri con magnifici graffiti per arrivare poi alla splendida Essaouira, denominata la Portofino marocchina.
Prima di narrarti di questo viaggio voglio però parlarti degli elementi tipici dell’architettura berbera presenti in una parte delle zone visitate nel viaggio stesso: la zona dell’Alto Atlante, delle valli del Dades, del Draa e del Tafilat; gli elementi architettonici sono “il Ksar, la Kasbah e l’Agadir”.
Il ksar è una cittadella fortificata formata da un’area che può essere quadrata o rettangolare cinta da alte mura con quattro torri e con una sola entrata che porta alla via principale centrale normalmente coperta. Il muro di cinta è di terra nella parte inferiore mentre è di mattoni nella parte superiore; qui sono presenti finestre strette e lunghe che consentono sia l'ingresso della luce che una buona difesa da potenziali nemici. All’interno del ksar si trovano varie case, botteghe, granai e il castello del signorotto locale, la kasbah.
La kasbah è costruita con i muri sono leggermente inclinati verso l’interno, e nella parte superiore hanno delle piccole feritoie. Ogni angolo è caratterizzato da un’elegante torre traforata da archi, scavata da nicchie e motivi romboidali o sormontata da puntoni.
Altro elemento tipico è il granaio fortificato, il cosiddetto agadir, dove oltre ai cereali venivano tutti i beni che la comunità riteneva importanti e anche armi e munizioni.
Il primo di ottobre sono l’unica a partire da Roma, i miei compagni di viaggio partono tutti da Milano, ci incontreremo a Casablanca, mi sembra strano partire così da sola pur essendo la coordinatrice di un viaggio; per fortuna due giorni prima della partenza un altro coordinatore che coordina Kasbah Marocco, mi comunica che vi è stato un cambio nell’orario del suo volo e che anziché partire di mattina parte al mio stesso orario, con il mio stesso volo, sono contenta così faremo il viaggio insieme fino a Casablanca, dove lui incontrerà il suo gruppo, io il mio, per poi proseguire con i miei compagni di viaggio in volo per Marrakech.
Arrivati a Marrakech ci viene a prendere l’autista del pulmino che avremo per i giorni a seguire, andiamo al riad dove passeremo le prime due notti e ci diamo appuntamento con l'autista per il 3 ottobre considerato che il 2 ottobre abbiamo dedicato la giornata alla visita di Marrakech e il pulmino non ci serve.
Come in tutti i viaggi di Avventure nel Mondo dove nel Paese visitato vi è un corrispondente locale occorre dedicare un po’ di tempo a pratiche burocratiche, ovvero pagare il corrispondente per i servizi/mezzi da lui forniti, e così la mattina del nostro primo giorno in Marocco la dedico a questa incombenza mentre i miei compagni di viaggio sono seduti di fronte a una buonissima colazione; cosa che mi incita a sbrigarmi con il corrispondente per raggiungerli a tavola.
Abbiamo un solo giorno da dedicare alla visita di Marrakech e abbiamo deciso di farci accompagnare da una guida nel giro della città per ottimizzare i tempi.
Fa caldo pur essendo ottobre, siamo anche un po’ stanchi di camminare e quindi facciamo una sosta pranzo in una “trattoria” locale, due tavoli interni e due esterni e mangiamo il nostro primo tajine, e quanto è buono!
Si perde così la visita della Madrasa Ali Ben Youssef, voi non fate lo stesso errore perché è un posto magnifico. Questa madrasa è la più importante di Marrakesh e la più grande del Marocco.
Centro della madrasa è il magnifico cortile nel mezzo del quale vi è un grande bacino rettangolare per le abluzioni; le pareti sono ricoperte da una stupefacente decorazione a stucco e in basso corre un alto zoccolo dei tipici zellij (mosaici di ceramica formanti motivi geometrici) e in alto vi è un alto fregio composto da grandi travi in cedro finemente scolpito. Le sculture non contengono, come richiesto dall'Islam, figure umane o zoomorfe, ma consistono interamente in iscrizioni e motivi geometrici o floreali. Intorno al chiostro sono le 132 celle dove dormono gli studenti, non residenti a Marrakech, disposte su due piani e aperte su piccoli cortili interni balconati.
In questa madrasa vennero girate alcune scene del film “Ideus Kinky - Un treno per Marrakech”.
Prima di iniziare il nostro tragitto ci fermiamo a comprare delle sim locali e a fare il pieno di carburante al pulmino che ci accompagnerà in questo viaggio, pulmino egregiamente guidato da Ayoub, un giovane ragazzo simpaticissimo, sempre allegro e molto, molto paziente.
La strada sale in tornanti sempre più stretti; ci fermiamo in un baretto panoramico per sosta tè e per andare in bagno; il baretto ha una bella vista su di un canyon e ci godiamo questo splendido paesaggio. E poi il tè in Marocco è buonissimo. È diverso dal nostro e preparato e servito con estrema cura tant’è che anche in Marocco si parla di Cerimonia del tè, mica solo in Giappone!
La preparazione del tè in Marocco prevede un proprio rituale. Nella ricetta tradizionale, il tè viene servito in teiere d’argento, e versato da una certa altezza, per far raffreddare prima l’infuso.
Le regole da seguire sono:
Presentare dei bicchieri su un grande vassoio d’argento, posto al centro di un tappeto. Mettere attorno tanti cuscini, in modo che i vostri ospiti possono assistere allo spettacolo della cerimonia, comodamente seduti a terra.
Preparare il vassoio con bollitore dell’acqua, tè verde, zucchero, molto zucchero, e un mazzetto di menta fresca.
Versare una piccola quantità di acqua bollente sul tè e muovete la teiera in modo circolare per pulire le foglie. A questo punto eliminare l’acqua sporca in un bicchiere.
Aggiungere la menta fresca e lo zucchero nella teiera insieme ad altra acqua bollente e rimettere sul fuoco per pochi minuti.
E ora questa meravigliosa bevanda è pronta per essere servita!
Ricordati di versare il tè dall’alto in piccoli bicchieri di vetro colorati: il getto allungato permetterà l’areazione del liquido e la sua ossigenazione.
Per tradizione sono tre le infusioni offerte all’ospite e, dato che la durata del tempo di infusione aumenta, il tè avrà ogni volta un sapore differente. Quindi quando ti viene offerto del tè non rifiutare nessun bicchiere finché non arrivi al terzo.
Proprio per sottolineare il sapore diverso dei tre bicchieri di tè c’è un detto marocchino che recita: “Il primo bicchiere è gentile come la vita, il secondo bicchiere è forte come l’amore, il terzo bicchiere è amaro come la morte.”
Servito in casa questo tè è servito spesso con datteri, fichi secchi, pasticcini speziati, ricchi di miele o zucchero e ripieni di frutta e frutta secca come mandorle e noci, ma può essere servito anche in abbinamento a piatti salati.
Nel deserto, invece, presso i nomadi berberi, gli utensili utilizzati sono generalmente una teiera in metallo smaltato posta direttamente sul fuoco, dei bicchieri più piccoli e senza decorazioni; il tè sarà bollito e molto più forte e corposo, offerto sempre con abbondante zucchero. Insieme al tè alla menta i berberi che vivono nelle campagne o nelle montagne dell’Atlante consumano pasti frugali, a base di yogurt, gallette, burro e frutta.
Le nostre prime kasbah e ksour
Finita la piacevole pausa ripartiamo, la strada continua a salire finché arriviamo al passo Tizi n'Tichka siamo a 2260 metri; ci fermiamo per la foto di rito alla pietra con scritto appunto il nome della località e l’altezza a cui si trova; poco dopo ci fermiamo ai lati di un tornante con una bella vista sulla strada che abbiamo appena percorso, vi è apposita area per fermarsi, non abbiamo messo a repentaglio la nostra vita, siamo solo al secondo giorno di viaggio e abbiamo ancora tante cose da fare e da vedere. Scattiamo qualche foto e poco dopo ripartiamo direzione Telouet, dove andiamo a visitare la Kasbah Glaouli costruita nel 1860 e nata come Kasbah Glaoui, dal nome della dinastia familiare che ne era la proprietaria; questa famiglia dominava il commercio di olive, zafferano e sale grazie alla posizione ottimale della Kasbah di Telouet sui sentieri delle carovane.
La nostra successiva tappa è un’altra kasbah, quella di Tamdaght, sicuramente meno impressionante della precedente, ma ugualmente interessante con i suoi torrioni e la bella vista dalla terrazza sulla sottostante vallata dalla terrazza.
Come spesso accade in luoghi tanto particolari anche questo ha ispirato registi che l’hanno voluto come set per la serie televisiva “Il Trono di Spade” e la telenovela brasiliana “O clone” e per numerosi film: “Lawrence d'Arabia, Sodoma e Gomorra, Edipo Re, L'uomo che volle farsi re, Gesù di Nazareth, L’uomo che sapeva troppo, di Hitchcock, Il gioiello del Nilo, 007 - Zona pericolo, L'ultima tentazione di Cristo, Il tè nel deserto, Kundun, La mummia, Il gladiatore, Alexander, Le crociate - Kingdom of Heaven, Babel, Lawrence d’Arabia, Una notte con il re, Prince of Persia - Le sabbie del tempo, Son of God, Queen of the Desert, A Life On Our Planet”.
Chiedo alla nostra guida di farmi una foto con il villaggio sullo sfondo, nello stesso punto, più o meno, in cui la feci nel 1996.
Ceniamo al riad, una cena ottima ovviamente a base di tajine di pollo, e poi del riso, delle verdure e un magnifico piatto di frutta già pulita e tagliata.
È il nostro quarto giorno di viaggio e continuiamo a muoverci verso il deserto di Erg-Chebbi percorrendo quella che viene chiamata la via delle Kasbah e che attraversa anche le Oasi della Valle del Dades e lo stretto Canyon delle gole del Todra.
E quindi anche oggi abbiamo in programma di visitare delle Kasbah, la prima quella di Taourit a Ouarzazate. Questa cittadina è chiamata “L’Hollywood d’Africa” per la presenza degli “Atlas Film Corporation Studio” i primi studios cinematografici aperti a Ouarzazate fondati nel 1983 da Mohammed Belghini, e set di film cult come “I gioielli del Nilo” e “Le crociate”.
La città che si vede oggi venne edificata nel 1928 dai francesi che in queste zone avevano molti interessi inclusi quelli legati alla famosa “legione straniera “, di cui il nuovo centro rappresentava un vero e proprio avamposto logistico verso il deserto del Sahara.
Noi, una volta arrivati in questa bella cittadina decidiamo di non effettuare la visita alla Kasbah di Taourit, ma di fare una passeggiata fra le stradine della città vecchia, e devo dire è stata una buona scelta in quanto abbiamo incontrato molte mamme che accompagnavano i bambini a scuola, le abbiamo viste fermarsi a comprare qualcosa da mangiare da lasciare come merenda ai loro bimbi, le abbiamo viste abbracciarli prima di lasciarli a scuola, insomma abbiamo visto un po’ della vita del posto. Non ci esimiamo però dal visitare la successiva kasbah, quella di Amerdil circondata dal bel palmeto di Skoura creato nel XII secolo dal sultano Yacoub el-Mansour e oggi tutelato dall’Unesco. Questa kasbah è del XVII secolo e mostra intatta tutta la sua magnificenza, tanto che viene rappresentata sulle banconote da 50 dirham. Arrivando con il nostro pulmino siamo rimasti tutti a bocca aperta. La kasbah Amerdil è caratterizzata da bassi ingressi con scopo difensivo sì che eventuali nemici fossero costretti a inchinarsi per entrare; da basse finestre, sia per la sicurezza che per la privacy; alti soffitti e spessi muri di paglia; alti gradini che servivano sia per non far salire gli animali, sia per sfiancare quei nemici che fossero riusciti a entrare. Dall’esterno si intravvedono buchi lunghi: servivano per tirare le frecce, mentre quelli più piccoli, venivano utilizzati sia per le impalcature, ma anche per far colare l’olio bollente …altra caratteristica di questa kasbah è che sono presenti attrezzi della vita quotidiana per la cucina e per l’agricoltura. Anche questa kasbah è stata set di vari film fra cui “Lawrence d’Arabia” e il film “Hanna” che ha visto la partecipazione di 130 dromedari e 200 comparse.
Finita la visita decidiamo di fare una passeggiata nel palmeto dando appuntamento all’autista sulla strada principale dall’altro lato del palmeto dove si trova un’altra interessante kasbah, quella di Ait Ben Moro, che comunque non visitiamo. Nel palmeto varrebbe la pena spendere più tempo, ci sono diverse Kasbah, persone che lavorano, insomma un luogo molto piacevole dove si può venire a contatto con la realtà locale.
Ripartiamo e arriviamo alla valle delle rose, con il centro El Kelaat M’Gouna e il suo villaggio fortificato; questa zona è nota per la produzione dell’Acqua di Rose, essenza che noi tutti conosciamo, non sapevo però che l’essenza è ottenuta dalle rose di Damasco, importate in Marocco e che hanno trovato nella valle marocchina un suolo favorevole e ampi spazi dove crescere.
Come sono arrivate qui da Damasco queste rose? Dobbiamo ricordarci che ci troviamo in una zona lungo le vie di pellegrinaggio e sulle rotte commerciali che dal Maghreb portavano verso l’Arabia e l’Oriente. Era usanza diffusa che mercanti e pellegrini portassero con loro piante e semi che li avevano colpiti per bellezza o profumo o che potevano divenire una fonte di guadagno.
E come su scritto queste rose hanno trovato in Marocco un buon clima in cui crescere e fra l’altro questo tipo di rose sono capaci di resistere al freddo e alla siccità.
Purtroppo, non è periodo né di fioritura né di raccolta, proseguiamo verso la valle del Dades dove lasciamo il pulmino per salire sulla jeep che abbiamo prenotato tramite il corrispondente locale per percorrere tutta la valle del Dades e le gole del Todra, cosa che in pulmino non avremmo potuto fare. Imbocchiamo lo sterrato intorno alle 16.00, il paesaggio è stupefacente, montagne color ruggine e malva e così spoglie di lasciar vedere gli strati di roccia che le compongono.
Queste pareti sono molto apprezzate da chi fa arrampicata.
Le gole sono state utilizzate come location del reality show statunitense “Expedition Impossible”.
Nel 2012 sono state utilizzate per il video pubblicitario della “Cadillac CTS”.
Ancora una giornata di visite ci separa dal deserto e questa giornata ci ha regalato delle grandi emozioni.
Sono le 10.25 quando con il nostro bus arriviamo alla città berbera di Goulmima, un’oasi agricola alimentata dal Wadi Gheris delle montagne centrali dell'Alto Atlante che, come altri insediamenti a Tafilalet, fu costruita come villaggio fortificato. È un posto splendido, dove varrebbe passare un po’ più di tempo rispetto alle 2 ore che ci abbiamo passato noi e visitare anche la palmerie. A Goulmina ci ha accompagnato come guida Jowef, persona eccezionale che, desideroso di farci conoscere le tradizioni del proprio Paese, ci ha persino cantato una canzone tipica che invoca la pioggia e ci ha aperto le porte di casa sua e la moglie ci ha offerto una colazione berbera e per finire a tutte le donne del gruppo è stato regalato un foulard e un cesto tipico berbero, cesto che ora ha un posto d’onore a casa mia.
Lasciamo a malincuore Goulmina, perdiamo un po’ di tempo per andare a cercare una cascata che Leonardo dice di aver visto su google maps che è lungo la strada che dobbiamo percorrere; nonostante la giornata piena che abbiamo i miei compagni di viaggio appoggiano la proposta di Leonardo di vedere questo posto e poiché ubi maior monor cessat, andiamo a cercare questa cascata; Leonardo ci guida, dobbiamo tornare indietro…ve la faccio breve…trattasi in realtà della “galerie d'art "Chez Zaïd" et le "Musée des sources de Lalla Mimouna”, l’artista è un francese anche piuttosto sgarbato, Leonardo vorrebbe entrare, ma questa volta mi impongo e dico che dobbiamo proseguire, abbiamo però perso 20 minuti.
Arriviamo nell’area dove è possibile visitare il sistema di pozzi e canali un tempo utilizzati per l’irrigazione dei campi: Les Khettara
Percorrendo la strada quello che si vede sono dei monta rozzi di sabbia; occorre avvicinarsi per capire che ogni montarozzo nasconde l’ingresso a un pozzo scavato fino a raggiungere la falda freatica da cui partono canali sotterranei che, sfruttando la forza di gravità, portano l’acqua nei terreni coltivati.
Les Khettara rappresentano un ingegnoso sistema di drenaggio delle falde acquifere, la cui nascita risale all’XI secolo e veniva utilizzato anche per irrigare i giardini di Marrakesh e le piantagioni di palme e che ricordano i qanat costruiti in Iran per irrigare i campi.
Dopo la visita a un negozio di tappeti e l’acquisto di un tappeto da parte di Leonardo, dopo aver mangiato l’ottima pizza berbera, dopo aver fatto il pieno al nostro mezzo di locomozione, dopo aver comprato dell’acqua finalmente alle 16.30 partiamo direzione deserto dove arriviamo alle 16:45.
E finalmente vediamo il deserto e le sue grandi dune!
L'Erg Chebbi è uno dei due erg Sahariane del Marocco, l'altro è l'Erg Chigaga presso M'hamid. Le dune dell'Erg Chebbi raggiungono un'altezza di 150 metri e sono disseminate in un'area di 22 Km da Nord a sud e di 5–10 km da Est a Ovest. La sabbia delle sue dune ha il tipico colore arancione delle sabbie sahariane ed è composta quasi esclusivamente da grani di quarzo.
Questa notte dormiremo in un campo tendato e il proprietario ci viene a prendere con la 4x4 per portarci nel punto in cui ci aspettano cammelli e cammellieri per una passeggiata che ci porterà nel deserto per ammirare il tramonto, i bagagli arriveranno con in nostro fidato Ayoub.
E’ molto presto quando saliamo verso le dune ma vista la marea di gente che arriverà dopo è andata veramente meglio così; abbiamo anche avuto modo di fare una camminata sulle dune nell'attesa del tramonto, tramonto che però non abbiamo visto causa foschia; torniamo indietro, sempre con i cammelli, prendiamo possesso delle nostre tende e quindi andiamo a cena; una buona cena: insalata marocchina, tajine di pollo, frutta; ascoltiamo un po’ di musica che stanno suonando fuori la tenda dove è allestito il ristorante e poi vinti dalla stanchezza ci dirigiamo verso le nostre tende dove non è che fa caldo di più; qualcuno di noi, io compresa, mette i materassi fuori dalla tenda, sulla sabbia perché proprio non si riesce a dormire, ma verso le quattro del mattino tutti rientriamo dentro le tende perché fa un po’ freddo e quindi trasciniamo di nuovo dentro i materassi. Insomma, una notte un po’ movimentata.
La mattina successiva facciamo un tour del deserto in jeep, è bellissimo ritrovarsi a percorrere queste dune ed è incredibile che milioni di anni fa questo deserto era un mare poco profondo, ma bisogna ricredersi quando in alcune zone del deserto si vedono fossili di animali preistorici marini di cui questo deserto è veramente pieno. Animali marini quali Ammoniti, Ortoceri e Trilobiti vivevano nelle acque di questo mare e si sono depositato sul fondo quando sono morti. Nel corso dei millenni i loro resti, ricoperti di fango, si sono trasformati in pietra.
La tappa successiva sarà in un punto panoramico dove poter contemplare l'insieme dell'Erg Chebbi e poi raggiungeremo Khamlia, un villaggio la cui popolazione è originaria del Mali, dove potremo rilassarci con un tè mentre ascoltiamo un piccolo concerto di musica gnawa. Continuiamo la nostra “passeggiata in macchina” in questo magnifico deserto; ci fermiamo diverse volte per scattare foto o solo per sederci sulla cima di una duna e ammirare in silenzio il deserto in cui siamo immersi. Resteremmo volentieri più del tempo che abbiamo a disposizione, ma dobbiamo ripartire, Rissani ci aspetta, eh sì, bisogna ripassare per Rissani. Qui avremmo voluto visitare il mercato degli animali, ma siamo arrivati un po’ tardi e vi sono rimasti pochi venditori, peccato. Comunque ci fermiamo a mangiare qualcosa prima di proseguire per la destinazione finale per oggi: N’Kob., cittadina arroccata a 1050 metri, e dove si trovano ben 45 kasbah!, ma per noi solo tappa per passare la notte.
La prima tappa di oggi è Tamegroute, un suggestivo villaggio celebre per l’antica biblioteca coranica e per le sue ceramiche, che fanno di questo villaggio il centro ceramico più importante del Sud del Marocco. Siamo a ridosso del deserto; i piccoli villaggi come Tamegroute vengono chiamati “douar”; la vita degli abitanti del douar è assai difficile, viste le condizioni climatiche e il continuo avanzare del deserto del Sahara; e per resistere alle temperature pazzesche, che in determinati periodi dell’anno possono raggiungere anche i 50 gradi, le abitazioni sono costruite sotto terra. Il douar di Tamegroute si compone di diversi ksour legati gli uni agli altri, in cui al centro dei quali si trova l’antica biblioteca ed il mausoleo di Sidi Muhammad bin Nasir al-Draoui (1603-1674), fondatore della biblioteca. Un luogo importante per i pellegrini di cultura islamica. La biblioteca contiene 5000 libri antichissimi conservati in teche chiuse rigorosamente a chiave.
Le ceramiche qui prodotte artigianalmente sono caratterizzate dal tipico colore verde bottiglia. Perché proprio il verde? Il verde è il colore dell’Islam, del paradiso musulmano, miracolo dell’acqua in un paese desertico; il verde è ovunque, persino sulle tegole dei tetti degli edifici reali e religiosi.
Come si effettua la lavorazione della ceramica?
La produzione inizia riscaldando il forno per ore grazie ai resti dei tronchi delle palme, poi si avvia la preparazione dell'impasto che viene estratto scavando terreno e messo a macerare in una fossa.
Una volta creato il manufatto, mentre questo viene lasciato alcuni giorni ad asciugare, si prepara la famosa tonalità verde di Tamegroute. Essa è composta da pigmenti in polvere, rame, roccia frantumata e zuppa d'orzo. Tutti questi ingredienti vengono pestati, impastati e spalmati sull’oggetto che rimane di nuovo al sole per alcuni giorni prima di essere rimesso nel forno per fissare il colore e essere poi venduto.
E’ facile vedere la lavorazione della ceramica: i forni sono all’aria aperta, quindi basta andare nella zona della cittadina di produzione della ceramica e assistere a questa incredibile lavorazione.
Tappa successiva Amezrou, dove veniamo presi in consegna da una “guida”; la cittadina è famosa per la lavorazione dell'argento e voilà ci troviamo nella locale cooperativa degli argentieri; abbiamo trovato Amezrou deludente, l’unica cosa interessante la sinagoga; proseguiamo il nostro “cammino”.e dopo qualche altra sosta: ricerca di una banca per prelevare i soldi da parte di chi non ne ha portati abbasta, sosta pranzo sempre troppo lunga, finalmente arriviamo, nel tardo pomeriggio a Tamnougalt.
Tamnougalt è il capoluogo storico dell’oasi di Mezguita. È dominata dal possente Jebel Kissane. L’oasi era controllata una volta da potenti caid locali, che avevano saputo mantenere l’indipendenza dello ksar dai nomadi. Sulla collina immediatamente al di là del Draa sorge una kasba imponente: apparteneva alla grande famiglia caidale degli Ait Lhassen el Mezguiti, che controllò l’oasi dal XIX secolo fino a circa il 1930, quando la zona passò sotto dominazione francese. La grande kasba è molto degradata all’interno, ma la sua visita permette di capire la struttura di un grande palazzo che potremmo definire nobiliare, è qui all’interno della kasba che Bertolucci girò alcune scene del film “Il tè nel deserto”. Il villaggio ai piedi della kasba è eccezionale: riflette il microcosmo sociale e culturale che lo abitava fino a qualche anno fa. In passato fu anche un grande centro religioso: c’è ancora la moschea con annessa la scuola coranica, che attirava studiosi da molto lontano. A Tamnougalt abitava una comunità stratificata secondo la gerarchia sociale tipica dell’oasi: harratin, chorfa, m’rabitine e imazighren. Era insediata anche una comunità ebraica, il cui cimitero si trova sulla collina presso la grande kasba.
Tamnougalt è veramente bellissima, fatto il check-in, l'albergo è in un antico Ksar rimesso parzialmente a posto, usciamo subito con una guida del posto per la visita di questo incredibile posto, nel cielo nuvoloni neri che non presagiscono nulla di buono, almeno per noi, Ayoub la pensa diversamente, e giustamente! Mentre siamo in giro viene a piovere, troviamo rifugi in un passaggio coperto, Ayoub si appoggia a un muro e si incanta a osservare la pioggia; la guida vuole rientrare, noi no, le diciamo di aspettare e vedere se la pioggia diminuisce; e infatti diminuisce, ma ormai è tutto fango e non si può più proseguire, rientrano tutti, io invece, incurante del fango, continuo a camminare ancora un po’ in questo luogo pieno di fascino prima di rientrare in hotel per la cena.
Ho letto nella guida che ho consultato per preparare il viaggio che nei pressi del villaggio di Ait Herbil ci sono altre le incisioni rupestri meno note rispetto a quelle che abbiamo visto ieri e abbiamo deciso di andare a cercare il punto in cui si trovano per conto nostro grazie alle indicazioni riportate sulla mia guida; non sarà semplice, ma finalmente individuiamo l’oasi, indicata nella mia guida, da cui partire per raggiungere il luogo dove sono i graffiti è quando individuiamo il punto gridiamo per la gioia; “vieni, vieni qui”, “guarda, è una giraffa!”, “e questo cosa è? Ah, sì, una gazzella”.
Resteremmo qui tutta la giornata a cercare graffiti, ma dobbiamo lasciare questo luogo magico; la nostra destinazione finale è Amtoudi dove arriviamo alle 14.30. Ieri sera, sentito il gruppo, avevo ordinato il pranzo alla struttura, casa privata, che ci ospiterà per la notte e così arriviamo e poco dopo, posati i bagagli nelle nostre stanze, pranziamo.
Dopo pranzo ci muoviamo, con il padrone di casa come guida per andare a vedere i due agadir, cioè i granai fortificati magnifici della tribù Id Aissa, che abita questa regione.e per fare una passeggiata nell’oasi anche questa molto molto bella. Rientriamo che sono le 20.00 e dopo poco ceniamo.
Il primo agadir che visitiamo non è visibile finché non si arriva ai piedi dello sperone roccioso che lo sostiene. Inespugnabile, costruito in pietra a secco, sembra un prolungamento della montagna, e solo a poco a poco si mettono a fuoco le mura, le torri merlate e le costruzioni. La nostra guida ha già chiamato il guardiano dell’agadir per farci aprile la porta la cui apertura è particolare; entrati ci si trova nel buio più totale di un corridoio, le cui volta e pareti sono formate dalle celle che custodivano non solo i cereali raccolti, ma anche tutti i tipi di oggetti di valore, inclusi atti e documenti, denaro, gioielli, vestiti, tappeti e talvolta vestiti e munizioni. solo pochi metri e torniamo alla luce nello spiazzo con la cisterna di acqua piovana, preziosa riserva in caso di assedio. Lo spiazzo è cinto da mura con due torri merlate, dove stavano le vedette armate. Da qui la vista spazia su tutta la valle. Alcune porte aperte lasciano intravedere la struttura interna delle celle: il deposito per i cereali, gli orci per l’olio, resti di contenitori in paglia, vasi di ceramica. Il secondo monumentale agadir del villaggio, ancora più impressionante del primo, si chiama Aguellouy ed è costruito, come l’altro, tutto in pietra a secco, avvolgendo con un andamento a chiocciola lo sperone roccioso su cui è edificato.
Ancora graffiti
Un’altra preziosità di Amtouditi sono le incisioni rupestri, che qui rappresentano due episodi differenti della storia del luogo: il più antico presenta immagini di bovini, il più recente ha figure di uomini a cavallo armati di lancia e scudo, contorni di sandali, cani e gazzelle disegnati sulle lastre più alte. Ci accompagna sempre il padrone di casa, il giorno successivo al nostro arrivo e prima di dirigerci verso Sidi Ifni. Visiteremo due siti quello di Toauriry Tisslatin e quello di Klemte.. Iniziamo dal sito a destra rispetto alla strada da cui veniamo, una breve passeggiata e arriviamo fino ad una grande roccia ai cui piedi ci sono graffiti di un paio di leoni, qualche gazzella e un elefante; torniamo indietro, attraversiamo la strada e andiamo a sinistra, attraversiamo il letto di un fiume secco e saliamo su una bassa falesia sulla cui cima incisioni di un leone, un elefante, le “solite gazzelle” e tre belle giraffe. Salutiamo la nostra guida presso la cui abitazione abbiamo pernottato ieri sera e saliamo sul pulmino, ci fermiamo in un baretto per approvvigionamento acqua e a Leonardo scatta la voglia di tè…la nostar seconda tappa è Tighmert per visitare un caravanserraglio con il cortile interno con i posti per gli animali, le stanze per le merci e le stanze per i commercianti. Tutto è spiegato nel piccolo museo accolto nella struttura dove ci fa da guida Habib, una visita molto, molto interessante. Dopo una passeggiata nell’oasi, ci fermiamo a pranzo in un hotel/ristorante nell’oasi stessa e nel tardo pomeriggio arriviamo a Sidi Ifni. È stato per tutti abbastanza scioccante ritrovarsi in un classico hotel, circondati da turisti dopo tanti giorni in cui eravamo gli unici viaggiatori. Facciamo il check-in, lasciamo i bagagli in stanza e usciamo per andare a Lezgira Plage dove passeggeremo lungo la spiaggia e poi ci siederemo a un bar per assistere al tramonto,
Gli studiosi non sono giunti a una interpretazione univoca sul significato delle incisioni rupestri; c’è chi gli da un significato magico-simbolico, legato a riti religiosi di tipo sciamanico, chi invece asserisce che le figure scolpite sulle rocce siano state fatte prevalentemente per passatempo da pastori fermi a guardia di greggi che pascolavano nei dintorni o che si abbeveravano.
Un’altra interessante tappa del nostro viaggio (ma quale tappa non lo è stata?) prevede la visita di Tzinit, soprannominata la “Capitale dell’argento” città famosa per il suo artigianato; arrivati in città ci fermiamo proprio nella piazza dove è la famosa Moschea il cui minareto è punteggiato da una serie di pertiche di legno che si dice siano di aiuto ai morti per salire in paradiso; poco distante dalla moschea si trova quella che viene chiamata la fonte blu alla quale è legata la leggenda secondo la quale proprio nel punto in cui venne martirizzata una ex prostituta sgorgò miracolosamente dell'acqua. Un'altra leggenda narra invece che una donna di nome Zenina passava da quel luogo che un tempo era arido. La donna aveva così tanta sete che stava quasi per morire, così si mise a pregare Dio. Con lei c’era anche il suo cane che cominciò a scavare con le zampe nella terra, così l’acqua sgorgò fuori e iniziò a scorrere. La signora beveva e ringraziava Dio, dopodiché decise di stabilirsi in quel luogo. La gente viaggiava da quelle parti per abbeverare il bestiame e la maggior parte cominciò a stabilirsi lì. Nacque allora il primo nucleo della città di Tiznit intorno alla bella fonte d’acqua, chiamata “Fonte Blu”, che attraversa la città irrigando i tanti bei giardini che oggi ricoprono quei luoghi.
Visitata la cittadina e fatti acquisti ripartiamo per la nostra tappa finale della giornata: Tafraoute. Arriviamo, entriamo in hotel e ho un deja vu, questo hotel l’ho già visto, faccio il check-in, fisso l’appuntamento per uscire, poso la valigia in camera e giro per l’hotel, sì è proprio lui è l'hotel dove sono stata durante il mio primo viaggio in Marocco che è stato anche il mio primo viaggio in assoluto con avventure nel mondo “Kasbah Marocco” mi emoziona moltissimo questa cosa, veramente molto molto molto.
Abbiamo delle visite in programma nel pomeriggio, e abbiamo una guida che ci ha raggiunto in hotel. Ancora una visita a dei graffiti: "la gazelle", quindi andiamo a visitare la Maison Berbére Traditionnelle, quindi andiamo verso Awmerkt alle famose Pierre Bleues rocce dipinte dall’artista belga Jean Verame nel 1984 come tributo per la moglie defunta, rientrando verso Tafraoute, prima di rientrare in città sosta al Chapeau de Napoleon, ovvero il Cappello di Napoleone, uno spuntone di roccia che incombe con la sua mole sul grazioso villaggio di Aguerd-Oudad, 3 km a sud di Tafraoute,
Passata la notte a Tafroute ripartiamo, ma prima di dirigerci verso la nostra tappa finale, Taroundant, ci prendiamo del tempo per fare una passeggiata nel bellissimo palmeto nei pressi di Tafroute; il palmeto è pieno di piccoli villaggi molto molto carini e si può vedere la vita locale. Oggi ci sarà una visita fuori programma; infatti lungo il percorso, all’altezza del villaggio di Tizourgane, notiamo una kasbah bellissima abbarbicata su uno sperone di roccia, ci fermiamo, andiamo al portone, bussiamo, siamo fortunati, ci apre il custode che ci fa visitare la kasbah, in parte ristrutturata, che è anche guest house Arriveremo molto tardi in hotel oggi, sia perché gli uomini del gruppo fanno un pausa pranzo di 1h e 30 minuti( decisamente troppi!), sia perché il nostro mitico driver, oggi stanco, sbaglia strada.
Circondata dalle montagne dell’Alto Atlante e da quelle dell’Anti Atlante, Taroudant secoli fa è stata temporaneamente sede del governo prima della conquista di Marrakech. Svolse una importante funzione commerciale e politica, e divenne una delle prime città di conquista da parte delle dinastie imperiali, tale da renderla la quarta città del Marocco, senza mai diventare una grande città. Questa città mercato berbera sulla rotte delle carovane è circondata da bastioni di fango rinforzato lunghi 7 chilometri e mezzo ed è famosa per il suo artigianato e i suoi souq, diciamo che è una Marrakech in miniatura.
Taroudant raggiunse il suo apice nel XVI° secolo sotto l’influenza di Mohammed ech-Cheikh Saadi, fondatore della dinastia saadita. Divenne la capitale e una base per le offensive contro i portoghesi installatisi ad Agadir. Inoltre divenne un centro carovaniero importante, famoso per l’abbondanza e la qualità delle sue mercanzie: zucchero, riso, cotone etc..
Dedichiamo la mattina alla visita della cittadina, lo facciamo per conto nostro, ci compriamo qualcosa per pranzo e lo andiamo a mangiare in hotel. Eleonora ha espresso il desiderio di fermarsi a una famosa spiaggia dove sono i surfisti (letto nella guida) Ayoub non la individua e ci fermeremo alla spiaggia prima di quella dove Eleonora avrebbe voluto fermarsi; tutti sanno che abbiamo molti km da fare, Ayoub mi ha chiesto di dire a tutti di essere puntualissimi e io l’ho fatto spiegandone il motivo; saremmo dovuti stare fermi il tempo di una birra, ma Leonardo e Leonaro (eh, sì abbiamo nel gruppo due persone con lo stesso nome) non solo ordinano la birra ma anche pizza e patatine che arrivano dopo 30 minuti da quando ci siamo fermati.
Arriviamo a Essaouira, nostra tappa finale, abbastanza tardi; pernottiamo in un riad che è nella medina, difficile raggiungerlo con i bagagli; il mitico Ayoub chiama un carretto per farceli portare; effettuato il check-in in 5 usciamo per andare a mangiare. ,
Questa bellissima cittadina l’avevo visitata durante il mio primo viaggio di cui ho scritto e ne avevo un ricordo vividissimo perché mi piacque molto e questa seconda visita conferma il mio ricordo.
La sua storia è antica, la si fa risalire fino ai fenici, ma la città così come la vediamo oggi fu riprogettata nel XVIII secolo.
Fu infatti il sultano Sidi Mohammed Ben Abdallah che alla fine del 1700 diede incarico ad un architetto francese di ridisegnarla per proteggerla dagli attacchi da parte degli abitanti di Agadir; e il significato del nome è “ben progettata”: il “buon progetto” fa riferimento alle sue alte mura che la proteggono.
Poiché è una città molto ventosa è soprannominata “la città africana del vento”, la città degli Alisei.
Un altro particolare che caratterizza Essaouira, è l’enorme quantità di gabbiani che volano proprio sopra la piazza principale di Essaouira; la ragione è che in questo punto arriva il pesce pescato ogni giorno e che viene pulito dai pescatori e i gabbiani trovano cibo in abbondanza.
Essaouira è anche importante per la sua Medina che nel 2001 è stata dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità, per i suoi vicoli stretti, le botteghe artigianali, l’architettura tipica, con pareti imbiancate a calce, il largo uso del legno, tutti elementi che rendono davvero suggestiva una passeggiata al suo interno. Ed è nella sua Medina che io mi “perdo” oggi prima di raggiungere il porto per mangiare un cartoccio di pesce a uno dei tanti banchetti che vi sono.
L’appuntamento con i miei compagni di viaggio è per andare a cena tutti insieme.
Ultimo giorno di viaggio
Ieri Ayoub ha proposto uno scambio di doni; ognuno di noi deve comprare un dono a un componente del gruppo il cui nome peschiamo fra i bigliettini su cui abbiamo scritto il nome di tutti; alle 10.30 arriva Ayoub e ci scambiamo il ricordo del viaggio, ha partecipato anche Ayoub che doveva fare il regalo ad Eleonora, alla quale ha regalato un bellissimo tappeto scendiletto, un vero signore Ayoub! Chiamiamo il carretto che ci porta i bagagli fuori dalla Medina dove Ayoub ha parcheggiato il pulmino, carichiamo i bagagli, e partiamo verso Marrakech dove abbiamo un volo che ci porterà a Casablanca e da lì, domani mattina, un volo per l’Italia.
Arrivati a Casablanca troviamo il taxi che avevo prenotato per portarci in città.
Vorremmo vedere la moschea di re Hassan II illuminata e quindi chiediamo all'autista del taxi se prima ci può portare alla moschea e dopo in hotel, l’autista è moto gentile e dice di sì, è disposto anche ad aspettarci qualche minuto; ma vediamo su google maps che la moschea è abbastanza vicino all'hotel dove andremo a dormire e quindi decidiamo di fermarci per visitarla; tanto abbiamo tutti il solo bagaglio a mano; quello grande è già in viaggio verso l’Italia; e meno male che ci siamo fermati perché era l'ora della preghiera quindi si poteva accedere all'area esterna della moschea e abbiamo potuto anche sbirciare all'interno della moschea stessa. La visita è stata suggestiva non solo per l'illuminazione, ma anche per la nebbiolina che circondava la moschea.
La moschea di re Hassan II, è sul mare; è la moschea più grande del Marocco e la terza al mondo dopo la Masjid al-Haram della Mecca e la moschea del Profeta di Medina.
L’edificio, in linea con il progetto dell’architetto francese Michel Pinseau, è stato costruito su un promontorio che si affaccia sull’oceano Atlantico e può contenere fino ad un massimo di 25.000 fedeli al suo interno e altri 80.000 nella piazza circostante. I lavori di costruzione furono commissionati dal re Hassan II e iniziarono il 12 luglio 1986; dovevano essere completati in occasione dei 60 anni del re nel 1989, tuttavia i tempi previsti non furono rispettati e l’opera venne inaugurata successivamente il 30 agosto 1993.
La moschea, che è lunga 200 metri e larga 100, è interamente realizzata in cemento armato e tutte le decorazioni sono di tipo tradizionale marocchino, unite ad elementi islamici.
Tra le caratteristiche architettoniche degne di nota figurano la cupola, le cospicue colonne, gli archi a ferro di cavallo e le innumerevoli muqarnas, ovvero delle tipiche decorazioni, che impreziosiscono i soffitti. All’interno la grande sala di preghiera è divisa in tre navate, di cui quella centrale è più alta rispetto alle laterali ed è coperta da un tetto apribile, che consente ai fedeli di poter pregare sotto le stelle durante le notti limpide. Inoltre il minareto della moschea, che con i suoi 210 metri d’altezza rappresenta tra l’altro il minareto più alto del mondo, è dotato di un faro con un raggio laser, orientato verso la Mecca, che viene azionato la sera e raggiunge una portata di addirittura 30 chilometri.
Il minareto è decorato da tessere verdi cangianti in verde scuro o blu turchese, che conferiscono alla moschea un’eleganza straordinaria, mentre il calcestruzzo usato per realizzarlo è quattro volte più resistente rispetto a quello normale, quindi è in grado di resistere saldamente all’azione combinata del vento forte e anche delle scosse sismiche.
Poiché il governo non aveva i fondi necessari per un progetto così ambizioso gran parte degli ingenti finanziamenti di costruzione, sono stati recuperati direttamente tramite numerose donazioni del popolo marocchino.
Questo racconto trova ispirazione da fatti realmente accaduti, i nomi, tranne quello del nostro eccezionale autista, sono stati cambiati per motivi di privacy.
Commenti
Posta un commento